Sabrina Gioda sceneggiatrice - Venezia Impossibile
dietro le quinte, Venezia Impossibile si racconta

Sabrina Gioda, sceneggiatrice di Venezia Impossibile

Scrivere è un deliberato atto di isolamento. Un razionale movimento di reclusione in se stessi fino alla scoperta di quella parte intima e silenziosa e vera che prenderà forma in una storia. Non si parla di autocelebrazione biografica ma di temi così forti e dolorosi da potersi rintracciare solo lì, nel profondo. Per questo si dice che lo scrittore sia una persona essenzialmente sola. Non è uno stato d’animo triste è solo un modo di essere. Nel mio lavoro sono così. Quando scrivo agisco all’interno di quel movimento, in un silenzio totale dove persino la musica diventa una fastidiosa interferenza.

Chi è Sabrina Gioda sceneggiatrice? Come nasce questa passione?

Una chiacchierata con la sceneggiatrice di Venezia Impossibile per scoprire dietro le quinte chi ha redatto e modificato la sceneggiatura del film. Che cosa significa prendere parte ad un progetto zero budget e come si segue un lavoro con passione anche “in remoto”. Ma soprattutto l’interazione con regista, attori e autore del libro da cui è liberamente tratto il film.

Ho iniziato scrivendo romanzi.

Il mio primo libro, “Compagni di viaggio”, edito da Marsilio nel 1999, ha ottenuto ottime recensioni e i favori della critica a livello nazionale. Questo mi ha spinta a uscire dal piccolo ambito provinciale per confrontarmi con una cerchia sempre più allargata di personalità in ambito artistico e letterario.

L’incontro con la scrittura televisiva è avvenuto nel 2002 quando, accettando il suggerimento di un amico, Lorenzo Favella, un noto sceneggiatore, ho provato a sottoporre la mia candidatura come dialoghista per una soap opera prodotta da una grande casa di produzione televisiva italiana. Dopo un breve periodo di prova, sono stata annoverata tra gli sceneggiatori impegnati in un lavoro seriale durato anni.

Dopo l’uscita del mio secondo romanzo, “L’odore del silenzio”, sempre edito dalla Marsilio Editori di Venezia, ho conosciuto una persona per me molto importante, Giovanni Covini, uno stimato e pluripremiato filmaker milanese, insegnante alla Paolo Grassi e autore di saggi di cinematografia. Giovanni mi ha contattata nel 2003 per propormi una scrittura a quattro mani di una sceneggiatura per un lungometraggio. Lavorando con lui a quel progetto e, successivamente, confrontandoci su molti altri soggetti, ho compreso le dinamiche della scrittura cinematografica, molto più intensa e suggestiva rispetto a quella cinematografica. Giovanni mi ha insegnato molto, a partire dai modelli tradizionali della struttura narrativa in tre atti, alla risoluzione del conflitto, all’arco di trasformazione dei personaggi e, cosa di gran lunga più importante, mi ha mostrato la fantastica durezza del confronto tra autori, chiave essenziale di ogni progetto.

Ho lavorato successivamente a diversi lungometraggi, tra cui Fabbrica, di produzione toscana con la bravissima Lina Sastri come protagonista femminile.

Come ha deciso di scrivere la sceneggiatura di Venezia Impossibile?

Più di  un anno fa, alla fine di marzo del 2012, un caro amico, William Carrer, illustrandomi un progetto che accarezzava da tempo, mi ha chiesto di dare un’occhiata al libro di Marco Toso Borella, “Venezia Impossibile”, dal quale intendeva trarre un lungometraggio.

Nel giro di qualche giorno ho letto e analizzato il materiale inviatomi da William: una copia del romanzo e una possibile suddivisione in scene dello stesso.

L’affascinante ambientazione della vicenda, l’incredibile rivisitazione storica proposta dal libro, i costumi, gli anacronistici profili dei personaggi e quel sottile filo esoterico che ricama lo sfondo, mi hanno immediatamente coinvolta, ispirandomi azioni cinematografiche e battute già durante la prima lettura.

Una delle maggiori difficoltà che sapevo di dover affrontare era la trasposizione in immagini di un testo carico di minuziose descrizioni anche emotive e attento ai movimenti interiori dei personaggi. Il linguaggio cinematografico prevede forti momenti d’azione netti e una chiara luce su eventi secondari che in un libro possono rimanere soltanto riferiti.

Il secondo problema era di natura pratica. Wiliam era stato, infatti, molto chiaro fin dal principio: per questo incarico non avrei percepito alcun compenso, nessun anticipo, nessun rimborso spese e non avrei avuto alcuna certezza di futuri guadagni.

Mi si chiedeva quindi di cimentarmi in una impegnativa prova di scrittura che avrebbe certamente richiesto mesi di lavoro “al buio”, di credere a un progetto che forse, un giorno, avrebbe messo in cammino una macchina produttiva concreta.

A dissipare ogni mio dubbio è stata, di contro, una semplice frase di William: “hai carta bianca”.

Nel mio lavoro non accade quasi mai che a uno sceneggiatore sia lasciata piena libertà di “movimento”. Ci si deve sempre scontrare con problemi di budget, risorse umane, influenze politiche, diritti d’autore blindati. Stando invece alla parola di William, in questo caso avrei potuto ribaltare completamente il romanzo, inserire parti nuove, lasciarmi trascinare senza alcun timore dalle molte possibilità offerte dalla storia, creare inseguimenti, esplosioni, riprese aeree, il tutto, naturalmente, nel pieno rispetto della versione originale del libro “Venezia Impossibile”.

Per questo ho accettato la sfida.

Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura nei primi giorni del mese di aprile 2012 e ho terminato il lavoro alla fine di giugno 2012.

Rispetto al romanzo ho dovuto fare molti cambiamenti. Ho creato nuovi personaggi, degli intrecci sentimentali forti che giustificassero “visivamente” il percorso drammatico di alcuni dei co-protagonisti, ho inserito scene d’azione che esaltassero le attitudini di altri personaggi. In pratica ho cercato di “mostrare” tutti quei conflitti, interiori e non, certamente suggeriti dal romanzo.

Lavorare con William è stato meraviglioso. Ci siamo confrontati spesso e, in generale, ha sempre approvato con grande entusiasmo le scene che gli sottoponevo all’incirca ogni settimana.

Anche l’autore del romanzo, Marco Toso Borella, con il quale ho avuto un piacevole confronto finale, si è dimostrato una persona di estrema sensibilità e intelligenza, con una inaspettata apertura ai cambiamenti proposti e ai necessari tagli logistici di una sceneggiatura di circa novanta minuti, notevolmente più contenuta rispetto al libro.

Assistere poi alla rapida e promettente ascesa di una produzione partita dal nulla come quella di “Venezia Impossibile”, e vedere, giorno dopo giorno, le parole scritte trasformarsi in immagini è stato molto più appagante di qualsiasi compenso economico.

Il ruolo della sceneggiatrice a che punto della produzione si ferma? Se si ferma

Una volta consegnato il copione nelle mani del regista, il grosso del lavoro, se ben fatto, si conclude. Rimane sempre la possibilità di agire sulle singole scene, riscrivendo o integrando alcune parti quando e dove necessario, anche attraverso rapidi confronti con gli attori, alcuni dei quali così attenti al proprio personaggio, come ad esempio Francesco Wolf, da richiedere una rivisitazione di dialoghi troppo lunghi o poco chiari.

Per questo, sebbene la mia presenza sul set non sia necessaria, continuo a seguire con interesse e orgoglio ogni passo di questa enorme e bellissima macchina cinematografica.

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